In che misura nella musica il gusto è personale?

di marco.visconti 16 febbraio 2009
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UN PANINO IN TONO “MINORE”

Un articoletto, una “pillolina di saggezza” dovrebbe dare risposte invece di porre domande ma nel tempo, con gli anni le seconde sembrano avere il sopravvento.

– i modi in cui la “Musica” viene consumata – perchè NON ho scritto ascoltata ?… – in qualche modo mi forzano a chiedermi:
la “musica” esiste prima di essere ascoltata?
è sufficente suonarla per farla “vivere” o è necessario che abbia un ascoltatore……..almeno UNO diverso da chi l’ha concepita (compositore?!) ?

– se la risposta è: “No! Senza ascolto, fruizione, uso, la musica non esiste!” siamo di fronte ad un interessante effetto domino che porta i consumatori ad essere i creatori, coloro che soffiano l’alito vitale in un qualcosa di altrimenti inerte ed inanimato.
Disponiamo le tessere del nostro domino e diamogli una spintarella:

– recentemente una persona mi ha proposto un paragone geniale, che non avevo mai sentito prima, tra Musica e Medicina: “Tutti abbiamo un corpo, tutti abbiamo le orecchie ma non è detto che si sia tutti medici o tutti musicisti…….” .grande!

– ma allora come risolvere il problema – che non è “accademico”- che porta la fruizione a fare il prodotto e che, conseguentemente, rimanda al consumatore il ruolo di produttore?

– proviamo a pensare ai “tortellini della nonna”: non tutti li mangiano, non sempre NOI li mangiamo però sappiamo che esistono e che sono buoni, anzi, sono buoni d’ufficio, sono sinonimo di bontà.

-…tutto ciò non mi pare sia come sembra (!?)… non è che così si carichi il consumatore – “il cliente” – di responsabilità produttive, al contrario lo si deresponsabilizza quasi totalmente presentandogli come libera ed assoluta una scelta che si opera, di fatto, in un campo ristretto e pre-determinato… “marketing”… ecco forse perchè tutti voglionio studiare “marketing” invece che produrre.

indirizzare le scelte è, secondo certe premesse, un modo di produrre ed è meno faticoso, pesante, meno di responsabilità che non fare. Non si soffre dell’angoscia di non essere ascoltati, eseguiti, “amati”, di non poter godere di quei ormai mitici “15 minuti di notorietà” per i quali c’è chi sacrifica una vita…una vita che sia rappresentazione ma una rappresentazione in cui gli attori non corrano il rischio di un “fiasco”, se si sbaglia – a scegliere o ad acquistare – si compra qualche cosa d’altro…

– ma che c’entra il “panino”? una volta, forse più d’una – che VERGOGNA! – ho mangiato un “hamburger” in una catena mondiale di “fast-food” e mi sono accorto che, dal momento in cui ero entrato, non mi ero neanche posto la domanda principale che ci si dovrebbe (?) porre quando si acquista qualcosa da mangiare: ” è/sarà buono?” OPPURE “cosa mi prendo di buono oggi?”…ero lì, compravo, mangiavo…

– quando mi metto ad ascoltare della Musica o vado ad acquistare MUSICA, in qualche sua forma, mi pongo delle domande o scelgo per esserci ………….che è molto diverso che ESSERCI PERCHE’ SI SCEGLIE!

Buon Appetito!

Marco V.P.

P.S.:

i tortellini aspettano solo di essere mangiati…

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Una replica a “In che misura nella musica il gusto è personale?”

  1. Giovanni ha detto:

    Scrivi e ti chiedi: La “musica” esiste prima di essere ascoltata?

    Non so la risposta. Mi limito a far rilevare che concepire la “musica” solo come conseguenza dell’esistenza dell’ascolto è un po’ fuorviante.

    Anche il recente successo’ di contatti TV del festival di Sanremo, potrebbe indurre a credere che se molte persone si dedicano all’ascolto, anche i suoni più assurdi diventano musica.

    Per rimanere nelle metafore alimentari. L’ascolto e’ come il rhum sul babà: più ce n’è, più è buono.
    Ma, come dicono i napoletani: ‘E voglia ‘e mettere rum, chi nasce strunz’ nun po’ addiventaà babbà.