The Smashing Pumpkins

di Roberto Sonego 14 maggio 2013
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Ho riflettuto parecchio su come intitolare questo articolo: gli Smashing Pumpkins sono complesso che adoro, che ha avuto una storia piena di alti e bassi con cambi continui di componenti, dipendenze e chi più ne ha più ne metta. A volte per non rischiare di rovinare tutto, è meglio mettere il nome del gruppo. E basta.

SmashingPumpkins

A ragione si possono definire gli SP come uno dei gruppi più importanti degli anni ’90 sia per la commistione di generi musicali che hanno portato sul palco, che li ha resi difficilmente catalogabili, sia per il messaggio di disperazione che riuscivano a trasmettere, incarnazione di una generazione inesorabilmente volta verso il declino.

La formazione iniziale vedeva Billy Corgan, il cantante, James Iha e D’arcy Wretzky completata in un secondo tempo con l’ingresso di Jimmy Chamberlin alla batteria.

Fu Butch Vig, il produttore di Nevermind dei Nirvana a scoprirli e a supervisionare Gish, il loro primo disco. Da subito fondamentale alla chitarra l’apporto e l’impronta che Iha, con i suoi assoli, seppe dare allo stile musicale degli Smashing Pumpkins che costituì, con gli anni, un vero e proprio marchio di fabbrica.

Il successo che il gruppo ebbe fin da subito fu dimostrato dall’essere di supporto a tour mondiali quali quelli dei Red Hot Chili Peppers e Pearl Jam il che permise loro di avere moltissima visibilità e di pubblicizzare oltremodo il loro primo lavoro.

Siamese Dream, il secondo disco, uscì nel 1993 e vedeva sempre la fortunata supervisione di Vig. Gli SP stavano bruciando le tappe e salendo, a velocità della luce, fino alla cima delle preferenze e della popolarità. Ma il vero boom si ebbe, un anno dopo, con la pubblicazione di Mellon Collie and the Infinite Sadness che rappresentò la vera esplosione degli Smashing Pumpkins soprattutto a capolavori rock quali Bullett With a Butterfly Wings, Tonight Tonight e 1979.

Con il successo arrivarono anche i primi grossi problemi quali la prematura crisi di ispirazione di Corgan ma, soprattutto, la morte del tastierista Jonathan Melvoin durante un concerto a causa dell’uso di droga, e la scampata morte di Chamberlin sempre per lo stesso motivo (il che fu la causa della sua cacciata dal gruppo e l’inizio di un lento declino).

La continua ricerca di sperimentazioni sonore da parte di Corgan fece partorire al gruppo Adore nel 1998, album decisamente diverso dai precedenti, che strizzava da una parte un occhio alle nuove tendenze pop, dall’altra a musicalità che solo loro avevano il coraggio di sperimentare come in Tear nella quale occhieggia un bolero. Ma fu, purtroppo anche per questa ossessiva ricerca del nuovo e del “mai provato” la causa principale dell’insuccesso del disco nonostante fosse presente una delle canzoni che tutt’ora rappresentano uno dei loro cavalli di battaglia, Ava Adore.

E le ripetute stroncature della critica di sicuro non aiutavano la vena compositiva del gruppo ed in effetti, il successivo Machina, the Machines of God del 1999 fu un disco brutto, senza mordente e giustamente presto dimenticato da tutti.

Questo pessimo periodo non fu altro che la spinta logica verso la decisione di Corgan di sciogliere il gruppo motivata dallo stesso leader anche in un’intervista su Mtv in cui, in pratica diceva che in tutti i loro lavori l’ispirazione derivava da ciò che girava loro attorno e ciò che accadeva nel mondo. Quindi segue l’uscita di un greatest hits molto ben fatto, dove trovarono spazio anche molti inediti e molti b-sides.

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Con discreto insuccesso, Corgan nel 2005 pubblicherà il suo unico lavoro da solista, The Future Embrace, disco a dire il vero non da buttare di sicuro ma troppo discontinuo dove albergavano dolci merodie a riff pop fastidiosamente noiosi. Troppi alti e bassi per non cadere nel dimenticatoio ma anche il segnale che la fiammella non era ancora spenta.

Ed infatti nel 2007 il gruppo si riunì pubblicando Zeitgeist il quale, però, anche per la ridotta line-up che vedeva i soli Corgan e Chamberlin della formazione originale, faceva pensare a un qualcosa di troppo brutto perchè si potesse accostare al nome Smashing Pumpkins.

Un piccolo barlume di ricordo dei tempi d’oro si vedrà con la pubblicazione dell’ EP American Gothic composto da quattro buoni brani i quali fecero però pensare più ad un’esercizio da solista di Corgan piuttosto che di un disco di un gruppo vero e proprio che anni addietro ha indelebilmente segnato il rock alternativo degli anni ’80.

Nel 2012 fu la volta di Oceania, all’apparenza un buon disco nel quale si restava ancora troppo ancorati al grunge in auge nel decennio precedente. Le generazioni, però, crescono e con loro i loro gusti musicali e Oceania era destinata al fallimento, anche se ingiusto viste le qualità del disco, e ha posto inesorabilmente parola fine alla carriera meravigliosa degli Smashing Pumpkins.

Lo spettacolo è finito… sipario!

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