Le Power Ballads: quando i duri diventano romantici

di Roberto Vanazzi 1 marzo 2011
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Quando si ascolta un album di “rock duro” capita spesso che, dopo una serie di brani veloci e pieni d’energia, l’atmosfera improvvisamente cambia. Tutto diventa tranquillo, gli strumenti suonano più soffusi e persino la voce del cantante, che sino a poco prima aveva urlato a squarciagola di droga, guerra e sesso, si fa più morbida. È il momento della ballad, o meglio, della power ballad, perché la chitarra nell’assolo dev’essere comunque distorta, tanto per enfatizzarne l’aspetto emotivo; altrimenti saremmo ai livelli del mortifero languore sanremese. I duri con le rock ballads diventano più teneri, e non parlo solo delle band che le propongono, ma anche dei loro fans, i quali al concerto, quando scatta il “lentone”, estraggono di tasca l’accendino e punteggiano il palazzetto di mille lumini simili a stelle.

Il termine ballad, quindi, sta a indicare una canzone piena di emozione, caratterizzata da un suono dolce e melodico, le cui tematiche, con le dovute eccezioni, parlano d’amore, di abbandono, di gelosia. Di sentimenti in generale, insomma, trasudanti romanticismo e malinconia. Nella maggior parte dei casi le power ballads iniziano con una strofa lenta e ritmata, dove prevalgono il pianoforte, la tastiera oppure la chitarra acustica. In seguito, quando arriva il ritornello, generalmente il volume aumenta e si introducono gli strumenti convenzionali dell’hard rock: batteria, basso e, soprattutto, la chitarra elettrica, che propone assoli veloci in stile metal. Spesso poi, sono presenti dei cori, specialmente nel finale.

Il critico musicale e sociologo americano Simon Frith identifica l’origine delle power ballads con gli artisti soul, in particolare Ray Charles, e con il successivo adeguamento di questo stile negli anni ‘60 da parte di personaggi quali Eric Burdon, Tom Jones e Joe Cocker, i quali hanno prodotto canzoni dal tempo lento, costruite su un ritornello forte ed emotivo, sostenuto da suoni potenti. Negli anni ’70 le rock star hanno tentato di trasmettere messaggi più profondi al pubblico, e le power ballads sono diventate il loro mezzo ideale. Con la nascita delle prime radio FM americane poi,  questo tipo di musica ha preso totalmente vita e ha fatto irruzione nel mondo.

Il genere che più ha dato alle power ballads, o meglio, che più ha ricevuto da esse, è l’AOR. Band del calibro di Foreigner, Journey, Styx, House Of Lord, hanno costruito il loro successo su questa musica melodica e allo stesso tempo piena di energia. Ma, anche per quanto riguarda il rock più duro, i gruppi non si sono lasciati scappare l’occasione per intenerire qualche cuore. Naturalmente la storia della musica è piena di brani lenti composti da band dedite al metal. Ne citerò qualcuna, ben sapendo di tralasciarne parecchie e scontentare un po’ di gente. Anzi, proprio per questo motivo non sarebbe male che ognuno scrivesse in questa sede qual è la sua rock ballad preferita.

Un famoso riff di pianoforte, suonato dal batterista Tommy Lee, funge da introduzione alla voce stridula di Vince Neil, il quale attacca il primo verso di quella che è considerata la più bella canzone dei Mötley Crüe: Home Sweet Home. Piano e voce si fanno compagnia sino al ritornello, dove la ballad si trasforma in power ballad grazie all’innesto maestoso di batteria, basso e chitarra elettrica. Quindi l’assolo distorto e i cori a intonare il titolo, sino al finale, quando torna il pianoforte, con un accenno di archi e i gorgheggi di Neil a chiudere. La canzone è stata pubblicata sull’album, Theatre Of Pain del 1985, ma si può trovare anche ri-masterizzata sull’antologia Decade of Decadence, con il titolo di Home Sweet Home ’91. Si può ben dire che il successo di questa ballad è stato il preludio a brani simili, di grande impatto radiofonico e notevoli catalizzatori in fatto di marketing, per le successive Hair Metal band nella seconda metà degli anni ‘80.

Motley Crue

Silent Lucidity dei Queensryche è una stupenda ninna nanna basata sul tema del sogno. Il brano si apre con una chitarra arpeggiata e la voce bassa di Jeoff Tate che invita il protagonista a “non piangere”. Con l’ingresso della batteria aumenta il climax, e Tate alza volume e ottava, il tutto sostenuto da un ricco accompagnamento orchestrale. Circa a metà, ecco l’immancabile assolo di chitarra elettrica di Chris DeGarmo, che è anche il compositore. Da notare che l’orchestra non è relegata in secondo piano, ma è invece molto importante, soprattutto durante la seconda metà della sezione strumentale. Alla fine della canzone, quando una volta raggiunto l’apice sonoro ritorna la quiete, un violoncello, sotto l’arpeggio di chitarra, accenna il tema della tradizionale Ninna Nanna di Brahms.

Queensryche

Still Lovin’ You è ampiamente considerata la migliore canzone dei tedeschi Scorpions, i quali di lenti se ne intendono visto che prima di questo già avevano registrato pezzi quali When The Smoke Is Going Down, Always Somewhere e Lady Starlight (senza contare quelli composti dopo). Tratta dall’album Love At First Sting, la canzone, come ha spiegato in un’intervista Rudolf Schenkerè la storia di un amore che, anche se sappiamo essere finito, proviamo ugualmente a recuperarlo“. Essa, poi, è considerata una metafora sottilmente velata di una Germania ancora divisa tra parte Orientale e Occidentale. I riferimenti al muro sono numerosi: “Il tuo orgoglio ha costruito un muro così forte che non riesco a passare, non c’è davvero nessuna possibilità di iniziare di nuovo?” e “Solo l’amore un giorno potrà abbattere i muri“. Chiari riferimenti alla disperazione di molti tedeschi per la loro patria allora divisa. Il finale è un lungo, infinito, ripetere la frase I’m Still Loving You da parte di Klaus Meine, con la chitarra di Schenker che fa faville.

Scorpions

Un sospiro da inizio a Every Rose Has Its Thorn, power ballad dal tono vagamente country dei Poison, datata 1988. Essa si dipana per un po’ con la voce di Bret Michaels accompagnata solo dalla chitarra acustica e da una tastiera. In seguito arrivano la batteria e la chitarra elettrica, la quale affronta due intricati assoli, uno morbido e l’altro più veloce e metallico. In un’intervista Michaels ha detto che l’ispirazione per la canzone gli è derivata una notte in cui era in una lavanderia in attesa che i suoi vestiti asciugassero e ha telefonato alla sua ragazza, il cui nome è Tracy Lewis. Michaels ha detto che quando lei ha risposto, ha sentito in sottofondo una voce maschile ed è rimasto pietrificato. Tornato a casa ha scritto la canzone. Il leader dei Poison ha anche rivelato che la “rosa” nel titolo della canzone è un riferimento all’organo femminile. Come ha dichiarato Dee Snider, dei Twisted Sister, questo brano ha ucciso il metal nelle ballad. A un tratto, infatti, tutte le heavy band si sono sbarazzate dei loro pedali a distorsione e hanno adottato l’acustica. Con Every Rose, i Poison hanno detronizzato i Mötley Crüe dal vertice del movimento Hair Metal.

Poison

Dream On è il primo singolo degli Aerosmith, tratto dal loro omonimo album di debutto del 1973.  Scritta da cantante Steven Tyler, questa ballata blues è certamente ancora oggi uno dei più grandi successi del gruppo di Boston. Essa inizia con una chitarra arpeggiata, sulla quale Steven attacca la prima strofa. Poi, come spesso accade nelle power ballads, con il ritornello subentrano gli altri strumenti che aumentano l’intensità del brano. La versione di Dream On che si trova sull’album dura un minuto in più rispetto quella su 45 giri ed è stata utilizzata nel 1976 per un nuovo singolo, arrivato al n°6 della classifica nazionale Billboard nel primo semestre dell’anno. Dopo questa canzone il gruppo di Perry e Tyler ha realizzato altre stupende ballad (come non ricordare Fly Away  From Here o Amazing), credo comunque che nessuna di esse sia mai riuscita a creare l’atmosfera di un capolavoro come Dream On.

Probabilmente il lento più famoso dei Deep Purple è Soldier Of Fortune, ma personalmente preferisco When A Blind Man Cry, anche perché composto originariamente dalla formazione migliore del gruppo inglese, la cosiddetta Mark II. La canzone inizialmente era disponibile solo come B-side del singolo Never Before, uscito nel 1972 durante le sessioni di Machine Head, e non compariva sull’album. In seguito, quando il disco è stato rimasterizzato nel 1997 per il 25° anniversario, è stata inserita come ultima canzone della track list. Siccome Ritchie Blackmore odiava questo brano, la band non l’ha mai suonato dal vivo fintanto che il chitarrista era della partita, con l’eccezione di una sola occasione, il 6 aprile 1972 a Quebec, quando però Blackmore era malato e il compianto Randy California degli Spirit l’ha sostituito. Ian Gillan, invece, ha eseguito la canzone dal vivo con la sua Band durante tutti gli anni ’70 e ’80. Quando Joe Satriani ha occupato il posto di Blackmore durante il The Battle Rages Tour, nel novembre 1993, When a Blind Man Cry, è stata aggiunta alla set-list. In seguito, con il definitivo addio di Ritchie, la canzone è diventata un punto fisso nelle performance dei Deep Purple ed è apparsa nella maggior parte degli album live che la band ha pubblicato con Steve Morse (molto belle le versioni su Live At The Olympia del 1996 e Live In Melbourne del 2001). Con l’arrivo di Morse gran parte della canzone è stata riscritta fino a essere estesa a circa 7 minuti durante i concerti (contro i 3 minuti dell’originale), con un assolo di chitarra molto complesso ed emotivo. Le parti di chitarra per la canzone sono costituite principalmente da alcune improvvisazioni di Morse, mentre Roger Glover e Don Airey hanno riprodotto la sezione ritmica principale. Le versioni dal vivo eseguite con Morse differiscono tanto dalla versione in studio che, quando la canzone compare su un album live è accreditata a Gillan, Paice, Glover, Lord e Morse, mentre la versione originale, naturalmente, vede il nome di Blackmore.

Don’t Cry è il lento che i Guns N’Roses hanno proposto in due versioni uscite contemporaneamente su due diversi album. Quella con il testo originale è la quarta traccia di Use Your Illusion I, mentre quella con il testo alternativo è la tredicesima traccia di Use Your Illusion II, entrambi del 1991. Solo il testo è diverso, e solo in alcune strofe, ma in quelle strofe non solo le parole sono cambiate, ma sono leggermente variate anche la metrica e la melodia. La canzone ospita Shannon Hoon dei Blind Melon ai cori, il quale appare anche nel video. Durante un’intervista Axl Rose ha dichiarato che la canzone parla di una donna che lascia un uomo ed è stata dedicata alla ragazza di Izzy Stradlin, della quale Axl era attratto. Quando lei ha detto al cantante che non se ne poteva fare niente, lui si è messo a piangere e da lì, naturalmente, “Don’t Cry”. Particolare il finale, con Axl che prolunga l’ultima lettera della parola Cry più del dovuto.

Guns N'Roses

Un’altra ballata strappalacrime è Alone Again, scritta dai Dokken e pubblicata nel loro album del 1984 Tooth And Nail. Singolo di grande classe, come del resto tutto il repertorio della band, è stato scritto dal cantante Don Dokken e dal bassista Jeff Pilson, sopra un testo che parla della depressione di un uomo dopo che è stato lasciato dall’amata. Il video ha una storia simile a un sacco di altre power ballads. Quasi tutto girato in bianco e nero, con solo alcune scene colorate, esso mostra la band che esegue il brano dal vivo insieme ad alcuni flash di Don Dokken solo in una stanza. I Dokken hanno scritto altre power ballads, come ad esempio Slippin’Away, Nothing Left To Say e Goodbye My Friend, ma Alone Again, per quanto mi riguarda, è la migliore: grande voce di Don Dokken e magnifico lavoro della Mr Scary di George Lynch.

Una ballad anomala è More Than Words, della rock band Extreme. Essa è costruita attorno al lavoro della chitarra acustica di Nuno Bettencourt e sulla voce di Gary Cherone, con armonie vocali dello stesso Bettencourt. Gli altri strumenti sono esclusi, quindi, se torniamo al discorso fatto all’inizio dell’articolo, questa non è da considerarsi una power ballad vera e propria. Niente aumento di pathos, nessun assolo elettrico, assenza di basso e batteria. Solo chitarra acustica e voci. Il risultato, però, è da considerarsi magnifico. Pubblicato nel 1990 sull’album Pornograffiti, il brano chiede alla persona cui è indirizzata di mostrare il suo amore attraverso “More Than Words“.

Anche i funerei Black Sabbath hanno i loro lenti. Uno di questi è Changes, brano che risale all’album Black Sabbath vol. 4, del 1972. Si tratta di una ballad sulla perdita di una relazione, molto diversa dai lavori standard dei Sabbath. Caratterizzata da un suono melodico e soft, dove la voce do Ozzy Osbourne è accompagnata dal pianoforte e, più avanti, dagli archi di un orchestra, Changes è in netto contrasto con il sound  duro basato sulla chitarra elettrica, che ha reso celebre la band di Toni Iommi.

Black Sabbath

I Firehouse hanno nel loro repertorio una grande quantità di power ballads, che li hanno resi il gruppo metal tra i più melodici del genere. Le migliori, certamente, sono When I Look Into Your Eyes e Love Is A Lifetime. Quest’ultima è stato il secondo singolo rilasciato della band del North Carolina e il loro maggior successo di classifica negli Stati Uniti, essendosi piazzato al n°5 della Billboard Hot 100. Love Is A Lifetime è stata scritta dal cantante CJ Snare in un Holiday Inn, prima di entrare nei Firehouse. Quando la band ha proposto il demo per il loro album d’esordio alla Epic Records, l’etichetta ha ritenuto che esso aveva bisogno di una forte ballad. Snare, alzando timidamente la mano, ha detto: ” Io una canzone l’avrei.” Così è stata suonata, è piaciuta ed è diventata un grande successo. Come dargli torto?

Firehouse

Dolce e delicata, dai toni vagamente bues, Is This Love è la migliore power ballad dei Whitesnake, uscita sul loro album omonimo nel 1987. Scritto da David Coverdale e dal chitarrista John Sykes, il brano pare sia stato realizzato originariamente per Tina Turner. La canzone è diventata uno dei più grandi successi del 1988, e ha ulteriormente definito i Whitesnake come uno dei migliori gruppi rock degli anni ‘80.

Bed Of Roses è la canzone d’atmosfera più bella di un romantico come Jon Bon Jovi. Singolo estratto dall’album Keep The Faith, del 1992, esso ha raggiunto la top ten della Billboard Hot 100, e si è piazzata benissimo nelle classifiche di mezzo mondo, grazie anche al fatto di essere stato tra i primi a mostrare il nuovo suono della band, più maturo rispetto al sound leggero che li aveva portati al successo nel decennio precedente.
Il brano, fatto strano per una balald, inizia con la chitarra elettrica, con un fraseggio di pianoforte di sottofondo. Quindi, proprio quando la chitara si ferma, entra in scena Jon che canta con voce calda.  Accompagnata anche da leggeri riff di chitarra, la canzone cambia ritmo nei ritornelli, con il cantante che inizia a far uso della sua tonalità abituale.

Jon ha avuto l’ispirazione per questa canzone nel 1991, mentre viaggiava con la moto per le strade dell’Arizona. In seguito, quando l’anno seguente il gruppo ha iniziato le registrazioni di Keep the Faith, il leader ha inizialmente accantonato l’idea di inserire Bed Of Roses, ritenuta ancora acerba. Qualche settimana dopo, però, in una camera d’albergo, un Jon Bon Jovi ubriaco ha scritto le parole definitive le quali, infatti, riflettono i sentimenti del cantante in quel momento.

 

Bon Jovi

 

Di power ballads ce ne sono un’infinità. Parlare di tutte vorrebbe dire riempire queste pagine per chilometri e chilometri. Giusto per chiudere l’articolo dico qualche altro titolo. Don’t Know What You Got (Till It’s Gone), il singolo di maggior successo dei Cinderella. Angel Song, la pianistica ballad dei Great White. La zeppeliniana What Love Can Be dei Kingdome Come. Love Song dei Tesla. Givin’ Yourself Away dei Ratt. House Of Pain dei Faster Pussycat. Dreaming (Tell Me) del super-chitarrista Malmsteen, con l’ex Rainbow Joe Lynn Turner alla voce. La delicate When The Children Cry dei White Lions. Bleeding Heart, dei brasiliani Angra. E, perchè no, Hollow Years e Another Day dei progressive metal Dream Theater. Anche una band di speed- thrash come i canadesi Annihilator si sono ammorbiditi con la splendida, malinconica Only Be Lonely, canzone nella quale sono irriconoscibili. E ancora, Forever dei Kiss, When I See You Smile, dei bad English, The Fallen One degli svedesi Hammerfall, and many, many more.

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7 risposte a “Le Power Ballads: quando i duri diventano romantici”

  1. Sara ha detto:

    Mi piacciono un sacco i lenti heavy metal, ma c’è un problema, i più belli li avete già scritti tutti. Potrei dire che manca Forever degli Stratovarius. Complimenti!!!! le canzoni sono descritte in maniera impeccabile.

  2. Davide ha detto:

    La migliore secondo me è she’s gone degli steel hearth! Se non la conosciete..ascoltatela..la voce è unica!http://www.youtube.com/results?search_query=steelhaeth&aq=f

  3. Roberto Vanazzi ha detto:

    Sono d’accordo, Matijevic ha una voce stupenda,d’altronde il suo riferimento è Robert Plant. Se non la conosci (ma credo di si) ascolta dello stesso gruppo anche I’ll Never let you Go.
    Ciao e Grazie.

  4. ANONIMO ha detto:

    STILL LOVIN ‘ YOU DEGLI SCORPIONS è UNA MERAVIGLIA !!! SE NN LA CONOSCEE ASCOLATELA PERCHE è SEMPLICEMENTE BELLA !!!!

    I LOVE ROCK ! I LOVE SCORPIONS AND GUNS N’ROSES !!!

    PER SEMPRE NEL MIO CUORE !

  5. ann ha detto:

    concordo con anonimo.
    I’m still loving you degli Scorpions è una meraviglia: è una VITA che l’ascolto, e ho quasi 50 anni!!! Toccante fino alle lacrime.

  6. ann ha detto:

    bella anche Forever degli Stratovarius

  7. Vincheng82 ha detto:

    ne mancano un bel pò eh ;-)