Pubblicato in: Soul, funky e jazz

L’autodistruzione di Amy Winehouse

di maristella 12 maggio 2008
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Amo tantissimo Amy Winehouse. La sua voce calda e black, le sue canzoni che riescono a fondere jazz, hip hop e sonorità anni cinquanta, il suo essere anticonformista sempre e comunque. Ma mi sembra che adesso stia un po’ esagerando. Il suo corpo emaciato e scheletrico campeggia ovunque. La cronaca dei casini che combina riempie le pagine dei giornali londinesi e di quelli del mondo intero. Secondo quanto dichiarato dal suo prodotto Mark Ronson, Amy non è in grado di lavorare e difficilmente riuscirà a finire di incidere la canzone per il nuovo film di James Bond.

Anche l’espressione del suo viso è completamente cambiata. Da quello di una giovane cantante che vuole sfidare il mondo, orgogliosa ed altera, a quella di uno strano essere sempre arrabbiato e triste, sperso in un mondo che non le appartiene. Va bene essere una rock star ma buttare via la propria vita e la propria folgorante carriera in questo modo stupido forse è un po’ troppo. Non certo devo fare la paternale io, ma veder sprecato un tale talento mi fa arrabbiare. Nessuno vuole che Amy diventi una santarellina, anzi, è magnifica nel suo essere scazzato e sopra le righe, ma non per questo deve autodistruggersi.

In fondo, di grandi miti del passato morti troppo presto – da Janis Joplin a Jimi Hendrix, da Jim Morrison a Kurt Cobain – ne abbiamo anche troppi esempi. Uno in più non ci serve! Meglio una grandiosa cantante viva che regala la sua creatività all’umanità ad una foto sull’anta di un armadio o su una maglietta celebrativa.

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