Il Thrash satanico degli Slayer anche nel loro nuovo album

di Roberto Vanazzi 25 novembre 2009
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Slayer

Dopo Metallica e Anthrax, chiudiamo il triangolo originario del Thrash Metal con la terza band culto del genere: gli Slayer.

Gli Slayer si sono formati nei sobborghi di Los Angeles nel 1981, per iniziativa del chitarrista Kerry King e del bassista-cantante Tom Araya, i quali già si cimentavano con una forma più brutale di Heavy Metal in un gruppo precedente. Con l’ingresso del batterista Dave Lombardo e del secondo guitar-man Jeff Hanneman l’assetto ha preso subito la forma definitiva e, dopo una gavetta fatta di serate al Troubadour Club di Los Angeles, sono stati scritturati dalla Metal Blade, etichetta specializzata in rock estremo.

Il 1983 è stato l’anno dell’esordio discografico. Show No Mercy è un delirio di violenza e potenza allo stato brado, che ha conquistato gli headbangers americani e ha regalato agli Slayer la fama di “band più dura del pianeta”.
The Antichrist, Black Magic, Fight Till Death, Die By The Sword, sono alcuni brani di un album che, assieme a Kill ‘Em All dei Metallica, ha contribuito alla nascita del Thrash.

L’EP Haunting The Chapel e il disco dal vivo Live Undead, entrambi datati 1984, hanno rafforzato il culto che si era creato attorno al gruppo californiano il quale, l’anno seguente, ha regalato ai fans Hell Awaits, un lavoro decisamente più complesso rispetto al primo, che presenta canzoni, sempre aggressive e con testi richiamanti al satanismo e alla violenza, ma musicalmente più elaborate. Alcune di esse, come At Dawn They Sleep, Crypts Of Eternity e l’omonima Hell Awaits, forte di un’introduzione fatta dalle urla delle anime dannate, hanno una durata al di sopra dei 6 minuti. Il brano di punta dell’album è, secondo me, Kill Again.

Il disco che ha regalato finalmente agli Slayer una fama di livello mondiale è stato Reign In Blood, uscito sugli scaffali nel 1986. Il salto di qualità è da attribuire anche al cambio di casa discografica, la Def Jam, e quindi di produttore, Rick Rubin.
Reign In Blood è considerato una pietra miliare per quanto riguarda il Thrash Metal, nonché uno dei lavori più importanti del genere. I brani sono quasi tutti corti, feroci e diretti. I migliori, direi, Postmorten, Raining Blood, Jesus Saves, Altar of Sacrifice e, soprattutto, la famigerata Angel Of Death, che è stata fraintesa come un’apologia del mostro di Auschwitz, Joseph Mengele.

La violenta immagine degli Slayer, a quel punto sulla cresta dell’onda, era sovente accompagnata, oltre che da numerose critiche, anche da disordini durante i concerti.

Nel 1988 è uscito South Of Heaven, un lavoro dove gli Slayer hanno rallentato le liriche ed inserito anche una punta di melodia. Sebbene la frangia estrema dei fans desiderasse ancora un’opera in stile Reign In Blood, South Of Heaven ha venduto molto bene e, come il predecessore, è stato certificato Disco D’Oro.
South Of Heaven, con la sua intro molto lenta, Mandatory Suicide, Silent Scream, Behind the Crooked Cross, sono i brani cardine. Quest’ultima, come già accaduto per Angel of Death, ha portato alla band accuse di filo-nazismo, accuse sempre respinte al mittente dai quattro californiani.

Due anni più tardi, sfruttando la stessa formula sonora di South Of Heaven, fatta sì di violenza ma anche di melodia, è uscito Season In The Abyss.
L’Album della definitiva maturazione creativa presenta testi sempre più lontani dal satanismo delle origini, per dispiegarsi su altre tematiche. La voce rabbiosa di Araya descrive nella splendida War Ensemble gli orrori della guerra, mentre in Dead Skin Mask, la mia preferita, parla del serial killer Ed Gain, il “macellaio di Plainfield”. In Blood Red, invece, addirittura dell’oppressione di Piazza Tiananmen.
Molto belle anche Halloweed Point e, soprattutto, la title track, che deborda decisamente nel metal funereo dei Black Sabbath.

Lo stesso anno gli Slayer hanno intrapreso il tour mondiale denominato Clash of the Titans, ben documentato nel doppio live del 1991 Decade Of Aggression. È stato alla fine di questo che Dave Lombardo ha lasciato il gruppo per dissapori con i compagni. Al suo posto è arrivato l’ex drummer dei Forbidden, Paul Bostaph.

L’era con il nuovo batterista si è aperta subito con un album di grande successo. Ben accolto dalla critica e dai fans, Divine Intervention è un feroce ritorno alle origini. 213, brano che parla di un altro serial killer, in questo caso il “cannibale di Milwaukee” Jeffrey Damher, Killing Fields, Dittohead e SS-3, sono altri titoli che si sono aggiunti all’elenco dei capolavori della band.

Dopo il deludente Undisputed Attitude, un disco di cover di gruppi Hardcore Punk, nel 1998 è uscito Diabolus In Musica, che ha portato una notevole svolta nel sound del gruppo, diventato più basso, duro e complesso, simile al Groove Metal dei Pantera, per intenderci.
A parte un paio di canzoni, Point e Scrum, che richiamano il suono tipico degli Slayer, il disco, come da previsione, è stato una delusione totale ed è tutt’ora considerato il peggiore del gruppo.

Così, i quattro hanno virato per tornare parzialmente al vecchio stile. God Hates Us All è uscito, ma questo è solo un caso, l’11 settembre del 2001 e, nonostante vi si trovi ancora la presenza di qualche traccia Groove, è andato decisamente meglio rispetto al predecessore.
Disciple, New Faith, e le feroci Payback e War Zone, sono, a mio parere, le canzoni migliori.

Lo stesso anno Bostaph ha lasciato la band nel bel mezzo di un tour, pare per problemi fisici. A chiudere le serate è stato richiamato alla base nientemeno che Dave Lombardo, il quale, una volta terminata la tournée, ha deciso di rimanere con gli ex compagni in pianta stabile.

La formazione originale ha pubblicato nel 2006 l’attesissimo Christ Illusion, dove le sonorità Groove sono state completamente scalzate dal vecchio Thrash degli esordi.
Critiche delle comunità religiose a parte, il disco ha ottenuto un ottimo piazzamento in classifica, grazie a brani quali Eyes Of The Insane, le potenti Supremist e Cult, e la sabbathiana Black Serenade.

Ultimo lavoro in ordine cronologico è World Painted Blood, uscito nei negozi da sole tre settimane, un album che ricalca il precedente e si muove saldamente sulla strada del Tharsh più feroce, come accadeva agli arbori della band.
Molto belle, a mio giudizio, la title track e Psychopathy Red.

A differenza di Metallica, Anthrax, Megadeth, Exodus, Overkill, dove la velocità convive anche  con un poco di melodia che rende il brano orecchiabile, per il gruppo di L.A. la faccenda è più complicata. Un sound distorto, che sfocia sovente nella cacofonia, le liriche blasfeme inneggianti la violenza, l’immagine cruenta, dove a predominare è il sangue, le critiche e le accuse infinite piovute un po’ da tutte le parti, fanno sì che gli Slayer o si amano o si odiano; non c’è una via di mezzo.

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