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I Beach Boys, gli incredibili ragazzi del surf – Parte II

di Roberto Vanazzi 27 settembre 2012
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A un certo punto i Beach Boys, così come i Beatles, hanno avuto la loro sbandata mistica al seguito di Marashi Yogi. Trascurato dal pubblico, che preferiva seguire musica più impegnata come il progressive, il gruppo ha trascorso un periodo di forte incertezza.

Dopo l’uscita di Wild Honey, Brian Wilson è stato allontanato dal gruppo a causa dei suoi problemi di salute. Del nuovo disco vanno segnalate la title track, la dolce Darlin’, nel classico stile del gruppo, e I Was Made To Love Her. Qualche pezzo dismesso da Smile, come Little Bird, è entrato a far parte della scaletta di Friends, disco acustico del 1968 che ha ottenuto scarso successo.

Anche il seguente album 20/20 è la testimonianza di questo momento di transizione. I pezzi migliori sono, a mio parere, Do It Again, che riprende le sonorità d’inizio carriera, Cottonfield, con i suoi accenti country, e I Can Hear The Music, un classico delle Ronettes. Da ascoltare anche Never Learn Not To Love, brano scritto da Charles Manson, l’assassino di Bel Air, che in quel periodo frequentava e ricattava Dennis Wilson.

Per Carl Wilson, invece, gli anni ’60 si sono chiusi con alcuni guai giudiziari dovuti all’obiezione di coscienza. Nel frattempo, dopo essere passati alla casa discografica Reprise, è stato rilasciato Sunflower, un album forse troppo mieloso. Da segnalare il ritorno nella line-up di Bruce Johnstone, che ha realizzato pezzi quali Tears In The Morning e Deirdre. Non male anche la dolce Forever e la suite Cool, Cool Water, che doveva far parte dell’abortito LP Smile.

Dopo gli incerti risultati di Sunflower, nel 1971 la band californiana si è ripresa con Surfin’ Up, basato su tematiche ecologiche e ad un ritorno al sound delle origini. Anche l’attività on stage di quel periodo è stata intensificata, con i concerti pervasi da un certo impegno politico a sostegno delle associazioni ecologiche e, soprattutto, contro la guerra in Vietnam.

A fine anno, in sostituzione del dimissionario Bruce Johnstone, sono arrivati Blondie Chaplin e Ricky Fataar, entrambi sudafricani, i quali hanno conferito nuova energia al suono dei Beach Boys. L’album Carl and the Passions, però, ha ottenuto risultati scarsi ed è considerato il peggiore del gruppo.

Per dare una scossa alla loro attività i Beach Boys sono allora emigrati in Olanda, dove nel 1973 hanno dato alla luce l’LP Holland. In questo caso le quote della band californiana sono risalite parecchio, grazie anche al brano Sail On Sailor, retaggio di Brian Wilson. Lo stesso anno è arrivato anche il doppio live In Concert, diventato in breve tempo Disco d’Oro. Chaplin e Fataar sono usciti dalla band poco dopo la pubblicazione dell’album.

I Beach Boys esercitavano in quel periodo un particolare fascino sul pubblico americano, tant’è che ben due raccolte di vecchi loro classici, Endless Summer e Spirit Of America, hanno guadagnato entrambe il Platino.

A quel punto il gruppo si è preso una pausa. Bisogna infatti aspettare il 1976 per trovare nei negozi un nuovo lavoro, coinciso con l’abbandono di Johnstone e con il ritorno in cabina di regia di Brian Wilson, che si era defilato dopo il flop di Sunflower. È stato così pubblicato 15 Big Ones, che è arrivato a toccare la posizione numero 8 negli USA ed è rimasto in classifica 27 settimane, aggiudicandosi un Disco d’Oro.

Dopo un paio di prove opache quali Love You e M.I.U. Album, nel 1979 è arrivato un altro cambio di etichetta, la CBS, e di produttore, con il ritorno di Bruce Johnstone. Quindi un nuovo lavoro, L.A. (Light Album), che come i due precedenti non ha ottenuto riscontri favorevoli, così come il successivo Keepin’ The Summer Alive, del 1980.

GLI ANNI ’80 E LA FINE DELL’ESTATE CALIFORNIANA

Nel 1980 la formazione classica dei Beach Boys, compreso Brian Wilson, ha intrapreso un tour che li ha spinti anche in Europa, allontanando così le voci di dissidi interni, ma inseguito la precarietà della situazione è risultata comunque evidente. I vari componenti si sono dedicati a lavori e concerti solisti. Nel 1983, poi, Dennis Wilson è morto durante un’immersione subacquea.

Il 1985 è stato l’anno del rilancio. Prima un film: The Beach Boys, An American Band. Quindi la partecipazione al Live Aid e, infine, un nuovo album da studio: The Beach Boys. Prodotto da Steve Levine, il disco presenta un suono più moderno, grazie alla presenza di sintetizzatori e batteria elettronica. È questo anche il primo lavoro del gruppo ad essere stato registrato con tecnologia digitale e pubblicato in formato CD.

Estratto dal tredicesimo album dei BB Still Cruisin’, nel novembre del 1988 è stato il singolo Kokomo ha riportare i Beach Boys in cima alle classifiche americane, grazie anche al fatto di fare parte della colonna sonora del film Cocktail, con Tom Cruise. Lo stesso anno il gruppo è stato introdotto nella Rock’N’Roll Hall Of Fame.

Nel 1992, invece, l’album Summer In Paradise ha riscontrato scarsi consensi. Il lavoro presenta un abbondante uso di sintetizzatori che formano una scaletta di brani pop dal tono elettronico. Da segnalare che nel disco non è presente Brian Wilson.

Nel 1998 Carl Wilson è morto a causa di un tumore. A quel punto l’unico fratello superstite, Brian, ha deciso che l’estate era finita.

 

RIUNIONE

I Beach Boys sono tornati a far parlare di loro nel 2011, quando lo stesso Brian Wilson ha registrato ex novo e dato alle stampe Smile, l’album lasciato incompiuto nel lontano 1967.

L’anno seguente Brian, Mike Love, Al Jardine, Bruce Johnston e David Marks si sono ritrovati e hanno intrapreso un tour mondiale, in occasione del 50esimo anniversario della formazione della band. Il 12 febbraio 2012 i Beach Boys si sono esibiti in occasione dell’assegnazione dei Grammy Awards.

Il 5 giugno 2012, poco tempo fa quindi, è stato rilasciato l’album That’s Why God Made the Radio, il quale ha debuttato direttamente al numero tre delle classifiche USA, diventando in questo modo il miglior disco di successo del gruppo dai tempi della compilation Endless Summer, nel 1974.

A quel punto i Beach Boys hanno intrapreso un tour mondiale che li ha portato anche in Italia: il 26 luglio a Roma e il 27 a Milano. Nonostante l’età (siamo più o meno attorno ai 70 anni) i ragazzi del surf hanno sfoggiato un’energia da teenager, coinvolgendo il pubblico per oltre due ore e mezza con i loro brani migliori, suonati l’uno dietro l’altro senza soste, come accadeva negli anni ’60.

La bella accoglienza che Brian Wilson e il suo gruppo hanno ricevuto sia all’uscita dell’ultlimo disco sia durante il tour è forse il segno che, ancora oggi, se si desidera ascoltare qualche cosa di buono si può tornare indietro nel tempo e affidarsi a vecchi dinosauri come i Beach Boys.

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